Lungo una serie di sentieri che tagliano il bosco, costeggiato da una scogliera che si specchia in un mare cristallino, si può raggiungere poi la Baia di Uluzzo, un giacimento paleolitico con manufatti in pietra e resti di grandi mammiferi (rinoceronti, cervidi, bovidi, equidi) di così grande importanza da dare il nome all'importante complesso paleolitico dell’ “uluzziano”.
Subito dopo si incontra la prima delle numerose grotte di cui è ricco questo tratto di costa, la grotta di Capelvenere, che prende il nome da una pianta di felce capelvenere. In questa grotta sono stati ritrovati reperti che risalgono ai primi insediamenti messapici, romani e medioevali.
Salendo lungo un sentiero, per molti tratti gradinato, si giunge fino alla Torre dell'Alto, una delle più poderose fortificazioni aragonesi costruite a difesa della costa salentina, oggi sede del museo di biologia marina. Lo spuntone di roccia su cui sorge, che termina con uno strapiombo di 50 metri a picco nel mare, viene detto Dirupo della Dannata perché è un precipizio in cui, nel XIX secolo, cercò volontariamente la morte una ragazza che voleva sfuggire allo “jus primae noctis” (diritto della prima notte) imposto dal crudele GianGerolamo Acquaviva, conte di Conversano e duca di Nardò, il famigerato “Guercio di Puglia”.
Dalla Torre parte un sentiero che si affaccia sulla spiaggetta di Porto Selvaggio, dove l'acqua è di un turchese brillante, aiutata in questo anche dalle sorgenti di acqua dolce di cui abbiamo parlato, nate dallo sbocco dei torrenti sotterranei tipici di un territorio carsico come è questo tratto della costa pugliese.